Teatro

Moni Ovaida e i suoni dell’esilio assediano il teatro Gesualdo di Avellino

Moni Ovaida e i suoni dell’esilio assediano il teatro Gesualdo di Avellino

Moni Ovaida e i suoni dell’esilio assediano il teatro “Carlo Gesualdo”. “Oylem Goylem” lo spettacolo-cult di Ovadia, è tornato sulle scene in occasione del ventennale del Cabaret Yiddish.

A Massimo di Avellino grande carrellata di umorismo e chiacchiere, battute fulminanti e citazioni dotte, scherzi e una musica che fa incontrare il canto liturgico con le sonorità zingare, per uno spettacolo che “sa di steppa e retrobotteghe, di strade e sinagoghe”.

Attore, cantante e musicista, Ovadia guida il pubblico con intelligente ironia nel cuore della lingua yiddish e della musica kletzmer, parlata e suonata dagli ebrei dell’Europa Orientale.

È una festa dell’intelligenza raccontata, suonata e cantata. È un veglione contagioso e fulmineo a base di umorismo yiddish e di brani zingari. È un cabaret di sofisticati aneddoti ebraici e di persuasive ballate all’ombra di un’armonia liberatoria. E’ “Oylem Goylem” lo spettacolo-cult di Moni Ovaida, in programma per sabato alle 21, e domenica, alle 18,30, al teatro “Carlo Gesualdo” di Avellino.. “Oylem Goylem” è un esempio di come in uno spettacolo di centoventi minuti si possono fondere umorismo e tradizione, intelligenza colta e gusto popolare in una formula linguisticamente internazionale.

Al centro dello storico lavoro di Moni Ovadia ci sono la lingua, la musica, e la cultura Yiddish, quell’inafferrabile miscuglio di tedesco, ebraico, polacco, russo, ucraino e romeno, la condizione universale dell’Ebreo errante suo essere senza patria, e attraverso di lui l’universale e attualissima condizione di tutti i popoli che non si sentono sicuri sulla terra che calpestano. Un gradito ritorno sulle tavole del Gesualdo di Avellino per Ovadia, che torna con lo spettacolo che lo ha reso famoso e che lo ha fatto conoscere al grande pubblico: "Oylem Goylem", di e con Moni Ovadia e la Stage Orchestra. "Oylem Goylem”.

Tradotto, Oylem Goylem significa "il mondo è scemo". Teatro, concerto, farsa, rivista, cabaret: in questo spettacolo Ovadia mescola generi e toni per raccontare l'identità ebraica e ripercorre i frammenti della diaspora est-europea. Canzoni yiddish si alternano a letture e storielle divertenti, ambientate in luoghi e tempi diversi, ma unite dal comune denominatore di una fede che è anche un approccio alla vita. Lo spettacolo ha la forma del cabaret o come lo definì Giovanni Raboni “un cabaret rituale”, che alterna musica e canti alle storielle e alle battute fulminee del raffinato umorismo ebraico. La cultura ebraica si distende in tutta la sua vastità tra gli estremi della lingua, l’Yiddish, e della musica, il Klezmer.

Moni Ovadia e i suoi musicisti (la Stage Orchestra è composta da Maurizio Deho al violino, Luca Garlaschelli al contrabbasso, Emilio Vallorani al flauto, Massimo Marcer alla tromba, Paolo Rocca al clarinetto, Albert Mihai alla fisarmonica e Marian Serban al cymbalon; la direzione musicale è di Emilio Vallorani) danno vita a una rappresentazione basata sul ritmo, sull’autoironia, sull’alternanza continua di toni e di registri linguistici, dal canto alla musica. Tutto questo è ciò che Moni Ovadia chiama il “suono dell’esilio, la musica della dispersione”: in una parola della diaspora.

La Moni Ovadia Stage Orchestra si rifà alla tradizione della musica klezmer nell’incrocio di stili, nell’alternanza continua dei toni e degli umori che la pervadono, dal canto dolente e monocorde che fa rivivere il clima di preghiera della sinagoga all’esplosiva festosità di canzoni e ballate composte per le occasioni liete.

Moni Ovadia, artista complesso e geniale, lavora da tempo a una personalissima ipotesi di spettacolo−canzone “culminata ora – scrive la critica − nella folgorante sintesi di Oylem Goylem che promette di essere fra gli avvenimenti più significativi degli ultimi dieci anni di teatro”. Un’alternanza continua dei toni e degli umori, dal canto dolente e monocorde, che fa rivivere allo spettatore un clima di preghiera e al tempo stesso un’esplosiva festosità di canzoni e ballate.

E’ un vero e proprio fenomeno epocale che in qualche misura ha modificato il tessuto culturale del nostro paese. Con la forza della sua solenne semplicità e vitalità ha trapiantato, reso familiare e necessario al pubblico italiano l’humus del mondo yiddish spietatamente annientato.

Eppure quel mondo, dall’abisso della sua assenza pulsante di un energia inesausta, è ancora pienamente in grado di parlare ai cuori, alle menti ed agli animi degli uomini di oggi e di ogni generazione.